lunedì 16 maggio 2016

EUGENIO MONTALE

LA POETICA E IL PENSIERO DI EUGENIO MONTALE

IL PENSIERO
Montale ha una visione pessimistica della vita umana: l'uomo contemporaneo è condannato a una tragica esistenza di solitudine di alienazione. La sua poetica si inspira proprio a questa negatività del vivere, indagato con lucida consapevolezza. E' una drammatica e incessante ricerca quella di Montale, condotta senza sosta sul filo di un doloroso travaglio interiore, di esperienze personali, di intuizioni.
Ma in questo precario vivere non mancano spiragli, anche se brevi, di felicità (Felicità raggiunta), qualche barlume di salvezza, (I limoni) che ci sveli la verità che dia senso alla vita.
 
Due sono i testi fondamentali in cui Montale enuncia la sua concezione poetica e spiega le sue scelte stilistico-espressive.
 
  1. I Limoni: In questa lirica Montale si vuole contrapporre ai "poeti laureati", alla poesia aulica, retorica, dove la realtà viene falsata per avere onori e gloria. Questo è appunto lo stile di D'Annunzio, Montale, invece, ama lo stile semplice che gli permette di ritrarre la realtà così com'è, come ci appare ogni giorno della nostra vita. Ai "bossi", "ligusti", "acanti", tutte piante nobili di cui parlano i poeti laureati, Montale contrappone gli aspetti più comuni della vita come "le strade che riescono agli erbosi / fossi", le "pozzanghere / mezzo seccate", gli "alberi dei limoni", simbolo della realtà concreta e semplice.
  2. Non chiederci la parola: è un'altra importante dichiarazione di poetica che scrive Montale, troviamo in questa lirica espresse la sofferenza consapevolezza del vuoto che attornia la nostra esistenza e l'impossibilità del poeta di suggerire certezze, di fornire risposte chiarificatrici, di rivelare verità assolute; egli può soltanto essere testimone della crisi dell'uomo contemporaneo e della sua incapacità a prendere risoluzioni positive. Queste sue dichiarazioni si contrappongono ai poeti decadenti i quali consideravano la poesia come l'unica forma di conoscenza possibile; il poeta diventa così una sorta di "poeta veggente" capace di svelare la realtà.
 


OSSI DI SEPPIA
Alla base di questa raccolta c'è il senso del vuoto che circonda la vita dell'uomo, la tragica constatazione del "male di vivere" che si manifesta nelle dolorose esperienze della natura quali "il rivo strozzato", "l'incartocciarsi della foglia / riarsa". Il paesaggio è quello della Liguria, aspro, assolato, riarsoscabro, significativamente emblematico di un determinato stato d'animo. Il linguaggio è preso dalla quotidianità, ma non è privo di termini ricercati e aulici.


LE OCCASIONI
Le "occasioni" sono incontri con persone che gli risvegliano i ricordi sopiti del passato, la visione di luoghi cari al suo cuore, i volti di donne amate, soprattutto quello di Irma Brandeis, l'italo-americana che Montale chiama Clizia; ella è vista nelle poesie come donna-angelo, come una mediatrice tra l'uomo e Dio, anche se Montale non è credente "sente" che irrazionalmente qualcosa in realtà esiste, e questo lo porta alla sua visione di angelo.
Il ricordo del passato che non ritorna più, è espressione di una vana lotta contro il tempo che tutto dissolve e cancella. Da qui il desiderio del poeta di uscire dal tunnel tenebroso, di trovare il "varco", la possibile salvezza incarnata dalle figure femminili. Ne "Le occasioni" come in "Ossi di seppia" non mancano gli oggetti anche qui caricati di valori simbolici.
Ma se in "Ossi di seppia" questi valori simbolici erano spiegati, questo non succede ne "Le occasioni"; infatti Montale afferma in "Intenzioni"<< Non pensai  a una lirica pura nel senso ch'ebbe poi anche da noi, a un gioco di suggestioni sonore; ma piuttosto ad un frutto che dovesse contenere i suoi motivi senza rivelarli, o meglio senza spiatterlarli>>.
In questa raccolta si ritrova una maggiore speranza rispetto ad "Ossi di seppia", il paesaggio inoltre non è più quello aspro e scabroso della Liguria, ma ora il poeta descrive il paesaggio toscano, sicuramente più accogliente del ligure.
 


LA BUFERA E ALTRO
Scritta tra il 1940 e il 1954, questa raccolta si apre con la serie "Finisterre". Montale si fa partecipe del dramma della società sconvolta dalla tragedia della II guerra mondiale: sono visioni di rovine, di lutti e di dolore, il linguaggio è più aperto e comprensibile, in queste liriche infatti è scomparso quell'aristocratico isolamento del poeta presente in "Ossi di seppia" e ne "Le occasioni"; qui la sua anima vibra piena di orrore e di rivolta. Il tono si fa polemico contro la classe dirigente che aveva portato l'Italia alla catastrofe, e altamente drammatici diventano i "temi" che alla fine sfumano in quello della solidarietà umana.
Passano gli anni e ai ricordi dolorosi subentrano momenti più sereni. In sostanza La bufera rappresenta lo sforzo di Montale di avvicinare la sua poesia alla vita, alla realtà. Ne "Le occasioni" egli aveva prediletto le forme classiche con strofe e rime; nella Bufera usa forme aperte (quasi scomparse le strofe e le rime) e periodi lunghi e lunghissimi. I versi, endecasillabi e settenari, spesso amplificano il ritmo con gli enjambements.
Da parte del poeta, si manifesta una disposizione religiosa che non approda ad una fede vera e propria, infatti come ne "Le occasioni", non manca la presenza femminile, Clizia, cui il poeta affida le sue speranze di salvezza. 
 


  LE ULTIME RACCOLTE
Tra le sue ultime raccolte si distinguono "Satura" - di cui Xenia è la prima sezione dedicata alla moglie morta (Drusilla Tanzi) chiamata dal poeta "Mosca", con la quale egli tiene un tenero colloquio sull'eterno e sul divino - Diario del '71 e '72, Quaderno di quattro anni e Altri versi.
Un immutato pessimismo e una visione disperata e tragica della vita caratterizzano anche quest'ultima produzione.
ATTIVITA'
La poetica dell’oggetto emblematico, elaborata da Montale, ha molti punti di contatto con quella del “correlativo oggettivo” di Eliot, che ne applicò i principi nei Poems, usciti a Londra nel 1925, lo stesso anno degli Ossi di seppia montaliani.
Rispondi alla domanda: cosa intende comunicare Montale con la tecnica del "correlativo oggettivo"?

NEOREALISMO TRA CINEMA E LETTERATURA

IL NEOREALISMO IN LETTERATURA
Il Neorealismo è un movimento culturale generato da un "clima etico morale" sviluppatosi nel secondo dopoguerra, tra il 1943 e il 1952. Esso, pur rifacendosi a modelli prevalentemente ottocenteschi (Verga soprattutto), è caratterizzato dalla necessità, da parte degli intellettuali di sinistra, antifascisti (artisti, letterati, registi...), di un ritorno alla realtà, dopo il soggettivismo e l'intimismo che avevano caratterizzato gli anni Trenta. Il riferimento è la realtà della guerra, della Resistenza e del dopoguerra, con la sua miseria e con le sue lotte politiche. L' "Andare verso il popolo" sarà l'impegno dei letterati e dei registi del cinema neorealista, nella convinzione che siano i fatti stessi a caricarsi di significato etico ed estetico. L'impegno culturale e sociale darà spazio a testimonianze dirette e alle esperienze autobiografiche, come, per esempio quelle di guerra e di prigionia. La nuova narrativa di influenza americana (Hemingway, per esempio) assume caratteristiche del "parlato", con un'attenzione anche alle diverse caratteristiche regionali, che mira a conferire autenticità alla narrazione. Tra gli autori più importanti del Neorealismo ricordiamo: Vittorini, Pavese, Fenoglio, Moravia, Pratolini, Cassola, Alvaro, Calvino (per la sua produzione giovanile), Primo Levi e Carlo Levi.
Per la produzione cinematografica si possono citare i capolavori di Vittorio De Sica, Ladri di biciclette (1948), Umberto D (1952) e di Roberto Rossellini Roma città aperta (1945). Ma sono tante le opere e i film di grande importanza che testimoniano la miseria e la povertà a cui ha condotto la dittatura fascista!


Il Neorealismo, tuttavia, non è solo denuncia, è anche impegno di ricostruzione materiale e morale del paese.

JOSIP BROZ, TITO

 
Il 7 marzo 1945, nasce la Jugoslavia di Tito, il maresciallo non allineato.
 
Nei suoi 35 anni al potere, Josip Broz, ha tenuto insieme col pugno di ferro la ex Jugoslavia, facendone lo Stato chiave nel teso confronto tra blocco sovietico e occidentale, opponendosi a Stalin che avrebbe voluto «cancellarlo con il mignolo», e riuscendo a porsi come interlocutore dei leader di tutto il mondo, unico tra i capi di Stato sovietici, tanto che al suo funerale si ritroveranno tre re, ventuno capi di Stato e sedici primi ministri. Oltre il trionfalismo, il culto della personalità e l’illusione di un modello socialista democratico, resta ormai ben documentata la sua responsabilità nei crimini contro nemici, oppositori e civili innocenti, tra cui i tanti italiani spariti nelle foibe o cacciati dalle loro terre istriane e dalmate. La parabola di Tito al vertice della Jugoslavia ha inizio il 7 marzo del 1945, quando il primo governo provvisorio della Democrazia federale di Jugoslavia si riunisce a Belgrado sotto la sua guida, vittorioso sugli occupanti tedeschi, sui cetnici, i partigiani monarchici del generale Drazha Mihailovic e il governo di re Pietro II in esilio a Londra. Fino al 1980 Tito terrà unito il Paese e proporrà agli occhi del mondo una seconda via al comunismo, diversa da quella di Mosca, ma ugualmente destinata a sgretolarsi nell’arco di un decennio (Getty Images/Hulton Archive).

mercoledì 11 maggio 2016

SECONDO DOPOGUERRA IN ITALIA

L’Italia del secondo dopoguerra, pur tra contraddizioni ed esitazioni, è attraversata tuttavia da una forte esigenza di cambiamento. La dimostrazione più chiara di tale esigenza sta forse nell’incidenza del Neorealismo, un movimento culturale che spinge scrittori, registi, intellettuali ad esprimere apertamente il proprio impegno e a non trascurare la dimensione politica dell’arte. Si tratta di una vera e propria riscoperta del reale, che viene opposto in tutte le sue sfaccettature alla retorica del ventennio fascista.

Come sottolinea Italo Calvino nella Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, ‹‹il Neorealismo non fu una scuola (cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche – o specialmente – delle Italie fino allora più inedite per la letteratura››.

E’ proprio quest’affermazione che permette di capire quanto siano innovativi i temi del Neorealismo (così lontani dalle intonazioni celebrative dell’Italia fascista), che oramai entrano “prepotentemente” sia nel mondo letterario sia in quello cinematografico.
Tra gli scrittori che si possono annoverare in questo movimento, seppure con sfumature diverse e soltanto in alcuni momenti della loro produzione, ricordiamo Alberto Moravia, Corrado Alvaro, Carlo Bernari, Ignazio Silone, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Beppe Fenoglio, Elio Vittorini…

Ma la stagione del Neorealismo si riflette soprattutto nella cinematografia (in particolare nel periodo che va dal 1945 al 1949) con personalità di grande rilievo come Luchino Visconti, Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. Questi autori si preoccupano di rappresentare scene di vita quotidiana, affrontando spesso i temi della povertà e della disoccupazione. Al centro della loro narrazione vi è la guerra con le sue distruzioni, la difficile lotta per la sopravvivenza, l’attenzione ai personaggi della strada.
Protagonisti dei film neorealisti sono individui comuni che agiscono spontaneamente e si esprimono in un linguaggio dialettale. Anche per questo il più delle volte vengono scelti attori non professionisti e si privilegiano gli ambienti naturali.
Il riferimento inevitabile della stagione neorealista (la lezione “sincera” da cui partire) è senza dubbio il Verga dei Malavoglia; non è un caso che Luchino Visconti riproponga nel suo film La terra trema (1948) proprio la miseria dei pescatori di Aci Trezza.
I registi neorealisti rifiutano il ricorso all’artificiosità degli studi cinematografici; la loro scenografia risponde all’esigenza di documentare la realtà dell’Italia postbellica ed è per questo scarna, essenzializzata.
Certo gli studi di Cinecittà non potevano essere utilizzati a causa dei danni subiti durante la guerra ed erano inoltre occupati dai profughi. Ma la ragione che spinge a privilegiare gli spazi esterni è innanzitutto una ragione stilistica: l’idea stessa di Cinecittà è in antitesi con la poetica neorealista, tanto è vero che il primo film che viene girato a Cinecittà dopo le vicissitudini della guerra, nel 1947, è Cuore di Duilio Coletti: un film di “buoni sentimenti”.


Il rinnovamento istituzionale, politico e culturale nell’Italia del secondo dopoguerra passa attraverso un percorso non lineare che registra anche momenti di stasi e di regresso; le richieste di cambiamento provenienti da una parte della società suscitano riserve soprattutto tra la piccola e media borghesia dando luogo a fenomeni di aggregazione come quello del movimento del Fronte dell’uomo qualunque, che conquista ben 30 seggi nelle elezioni del 1946 per l’Assemblea Costituente.
Il desiderio di conservazione è particolarmente avvertito dal cittadino medio e si

riflette in diversi ambiti.

Le prime edizioni del Festival di Sanremo mostrano un’Italia smaniosa di ritrovare la continuità della sua tradizione e di lasciarsi alle spalle il ricordo tragico della Seconda Guerra Mondiale.
Il successo di Nilla Pizzi nelle edizioni del 1951 (ottiene il primo posto con Grazie dei fiori e il secondo con La luna si veste d’argento) e del 1952 (trionfa con il primo, secondo e terzo posto rispettivamente con Vola Colomba, Papaveri e papere, Una donna prega) è la riprova più evidente di tale tendenza.



La ricerca di novità è ben rappresentata anche da quel “mito americano” (anticipato dalle traduzioni di Melville, Faulkner, Hemingway ad opera di autori quali Pavese, Vittorini, Fernanda Pivano) che tanto ha influenzato la nostra cultura e il nostro costume.

La “voglia d’America” traspare innanzitutto nell’ormai classico accostamento delle note della celebre In the mood di Glenn Miller alle immagini della liberazione di Roma. E’ una voglia che si ritrova in diversi compositori e cantanti che riprendono sonorità proprie della musica americana (swing, jazz…) accostate in maniera originale alla tradizione italiana.

IL SECONDO DOPOGUERRA

UN MONDO DIVISO
La seconda guerra mondiale si concluse con la sconfitta di Italia, Germania e Giappone e con la fine dei totalitarismi fascista e nazista. I vincitori pagarono la guerra con 40 milioni di morti, i vinti con più di dieci milioni. Oltre la metà di queste vittime fu contata tra i civili, morti sotto i  bombardamenti o a causa di massacri e deportazioni di massa. La guerra provocò inoltre 35 milioni di feriti e lasciò il mondo in una condizione di terribile devastazione: città distrutte, porti e ferrovie demolite, intere regioni devastate.
Le foibe. L’Italia fu costretta a cedere l’Istria e la Dalmazia alla Jugoslavia. 350.000 italiani dovettero abbandonare l’Istria. Il trasferimento fu preceduto da repressioni e violenze che diedero vita al tragico fenomeno delle foibe. Nel 1945, l’esercito partigiano jugoslavo guidato da Tito occupò l’Istria e la Venezia Giulia per annetterle alla Jugoslavia comunista. Migliaia di italiani accusati, spesso con un processo farsa, di essere fascisti o sostenitori del fascismo furono gettati nelle foibe, cavità naturali del suolo carsico. 
Il processo di Norimberga.  Tra il 1945 e il 1946 a Norimberga furono processati, da un tribunale organizzato dagli stati vincitori del conflitto, tutti i capi superstiti del nazismo, i quali furono chiamati a rispondere dell’accusa di “crimine contro l’umanità” (persecuzioni, sterminio, deportazione). Il processo rivelò al mondo il volto del nazismo, i suoi crimini ma, soprattutto, l’orrore dei campi di sterminio. Gli imputati si difesero dicendo che avevano obbedito a ordini superiori o di non essere stati a conoscenza di quanto avveniva. Alla fine del processo 24 gerarchi del nazismo furono condannati a morte e molti altri a scontare una pena in carcere. Il processo di Norimberga fece molto discutere: si disse che nemmeno le potenze vincitrici erano senza peccato, dal momento che anche esse avevano compiuto crimini contro l’umanità come il lancio delle bombe atomiche sul Giappone.
Nasce l’ONU. Il 27 Giugno del 1945 fu fondata l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), con sede a New York e con il compito di promuovere il dialogo tra le nazioni per evitare nuove guerre. Nel 1948 l’ONU emanò il suo più celebre documento, la Dichiarazione dei diritti umani, nel cui primo articolo si afferma che gli uomini hanno tutti gli stessi diritti e devono collaborare tra loro in spirito di fratellanza.       
Il piano Marshall .  Nel 1947 gli USA lanciarono il piano Marshall (dal nome del segretario di stato americano, George Marshall, che lo elaborò). Si trattava di un grande piano di aiuti  economici con lo scopo di sostenere la ricostruzione dei Paesi europei distrutti dalla seconda guerra mondiale. Gli aiuti del piano Marshall (non solo soldi ma anche generi alimentari e medicine) favorirono ottimi risultati economici, soprattutto in Germania e in Italia. Grazie agli aiuti, l’economia italiana negli anni Cinquanta del Novecento conobbe un vero boom. Ovviamente offrendo questi aiuti gli USA volevano garantirsi l’appoggio politico degli Stati che li ricevevano e impedire che in essi si diffondesse il comunismo. Gli USA proposero gli aiuti anche agli Stati dell’Europa orientale, che però li rifiutarono su pressione dell’URSS.


      DOPOGUERRA E RICOSTRUZIONE

Dopoguerra e Ricostruzione - Rai Storia